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La verit sul caso Harry Quebert - Jol Dicker

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‘La verità sul caso Harry Quebert’ - Joël Dicker - Bompiani 2013.

 

Lo abbiamo acquistato, l’abbiamo ricevuto in regalo, lo abbiamo letto in ogni luogo: dalla stanza da letto a sotto l’ombrellone, bistrattato negli zaini, logorato nelle borse da spiaggia, questo ‘giallo deduttivo’, così viene chiamato il genere whodunit, contrazione dall’inglese Who has done it? (Chi l’ha fatto?), è indubbiamente orchestrato come un classico noir ad enigma ma, anziché svolgersi in un contesto ‘impossibile’, ci pone di fronte al quotidiano di un paesucolo all’apparenza dormiente, dove non accade nulla di eclatante, ma dove tutti sanno tutto di tutti e sono più o meno tutti impelagati nella stessa vicenda. Vicenda sulla quale l’investigatore di turno spinto da interessi diversi costruisce le proprie deduzioni investendone il lettore, sfidandolo quasi nella ricerca della verità che tuttavia si smarrisce fra le pagine per ritrovarsi a furia di colpi di scena nel finale a sorpresa. Verità che per essere equa si sposta ora da una parte ora dall’altra a seconda dei punti di osservazione (qui più esattamente d’azione) dei personaggi, più o meno impelagati nella vicenda, nell’insieme di quelle regole che solitamente vengono rispettate nella scrittura di un buon giallo o romanzo poliziesco che sia, più note come ‘Decalogo di Knox’ (1929) e che dovrebbero consentire anche al lettore di arrivare alla soluzione dell'enigma proposto.

Una sfida ludica da giocarsi tra scrittore e lettore o, se vogliamo, tra protagonista succube e investigatore eroe che pur si gioca ogni volta tra lo scrittore e il lettore. Gli esempi sarebbero infiniti se non si considerasse che in questo ‘romanzo/giallo’ accade qualcosa in più, imprevedibile e per questo originale, in cui lo scrittore si trasforma in regista (montatore) che a colpi di flashback fa avanzare e indietreggiare la moviola recuperando spezzoni di pellicola come per un déjà-vu subliminale che precedentemente non era stato preso in considerazione. Onde per cui la trama subisce degli scossoni psicologici inusitati quanto inaspettati che verso la fine si complica quasi che al lettore non interessa più ‘chi ha fatto cosa?’, bensì esclusivamente ‘perché?’, con la perdita costante dell’entusiasmo iniziale da parte del lettore, in quanto gli è data la possibilità di scegliere quale delle soluzioni preferisce, o meglio preferirebbe.

Sì, perché in fondo è soltanto un’illusione. L'autore in realtà conclude con la solita sdolcinata ‘botta di generosità’ del finale all’americana dove tutto ritrova la serena felicità delle favole e che, ovviamente non convince più di tanto il lettore. La vicenda finemente ‘ambigua’ fra i due protagonisti invece sì, diventa man mano appassionante, finanche divertente o divertita se si prendono in considerazione certe debolezze dello scrittore. La ‘storia’ si svolge attorno al rinvenimento delle ossa di una ragazza Nola Kellergan sepolte in un giardino, un accadimento che sa poco di nero/giallo, o almeno non più di tanto, fino a quando un giovane scrittore di successo Marcus Goldman non si mette a indagare sul caso per salvare dall’oblio e forse dal carcere il suo ex docente di letteratura e ‘maestro’ universitario Harry Quebert affascinante e ambizioso che si scoprirà essere il deus ex macchina attorno al quale tutto ruota intorno.

Ed è questo il punto incalzante della storia, (almeno per quanti si professano scrittori ardenti o lettori appassionati), Joël Dicker approfitta del suo romanzo per fare il punto sulla professione dello scrittore e tutto ciò che ne consegue, girando a tutto tondo attorno alla produzione del libro: dallo scrivere e sul perché scrivere, alla rapporto con l’Editore, alla promozione ecc. “La malattia degli scrittori” infatti prende tutta la prima parte del romanzo: “Tutti parlavano del libro..” da l’esatta dimensione di ciò che precede il successo di un libro, quindi si passa a “L’importanza di saper cadere”, sottotitolo che anticipa come affrontare una possibile caduta che ci sarà (più d’una), ed infine quelli che sono i suggerimenti dell’esperienza dello scrittore incarnato da Harry Quebert su come valutare un buon libro. “In fondo gli scrittori scrivono un solo libro nella vita”, questa frase fatta è la dimensione esatta in cui si muove questo romanzo pur audace nel suo genere ma che non ha la pretesa di essere perfetto.

A dirlo è lo stesso autore nelle vesti del personaggio Barnaski / Editore: “Vedi Marcus, le parole vanno bene, ma certe volte sono inutili e non bastano più. Arriva il momento in cui certe persone non vogliono ascoltarti”. E che al nostro buon uso significa “..a un certo momento le parole sono inutili e non servono più perché le persone smettono di ascoltarti”. Comunque ben altre sono le considerazioni ‘preziose’ dell’Editore e pagine intere di suggerimenti pratici sono qui sciorinati a favore esclusivo di come si svolge un ‘buzz’ che sta per “..far parlare di sé e contare sulle persone affinché parlino di te sui social-media, e così hai accesso a uno spazio pubblicitario gratuito e illimitato”.

È così che “..Da un capo all’altro del mondo, migliaia di persone, senza neanche rendersene conto, provvedono a farti pubblicità su scala planetaria. Non è pazzesco? In pratica, gli utenti di Face-book sono degli uomini-sandwich che lavorano gratis, che sarebbe da idioti non approfittarne”. (Io che scrivo su Face-book sono uno di quelli, e sono anche un gost-wirter che, come Harry Quebert insegna, anch'io “..vorrei andare nel paradiso degli scrittori”): “Il paradiso degli scrittori? Cos’è” “È il posto dove decidi di riscrivere la vita come avresti voluto viverla. Perché la forza degli scrittori, Marcus, sta nel fatto che possono decidere la fine della storia. Hanno il potere di far vivere o morire, hanno il potere di cambiare tutto. Gli scrittori custodiscono nelle loro dita una forza che spesso non immaginano neppure. Gli basta chiudere gli occhi per invertire il corso di una vita.” “In fondo, la verità, (qualunque essa sia), non cambia nulla di ciò che proviamo per gli altri. È la grande tragedia dei sentimenti.”

“È il destino a volerlo. Nel mio destino non era scritto che diventassi un grande scrittore. Tuttavia ho provato a cambiarlo: ho rubato un libro, ho mentito per trent’anni. Ma il destino è inflessibile: finisce sempre per trionfare”. “Ora che sai tutto Marcus, racconta la verità al mondo intero.” (Ma quale è la verità di Marcus non lo sapremo mai.) “La verità ci libera tutti. Scrivi la verità sul caso Harry Quebert. Liberami da questo male che mi tormenta da più di trent’anni. È l’ultima cosa che ti chiedo.” “Ma come? Non posso cancellare il passato!” “No, però puoi cambiare il presente. È il dono degli scrittori. Il paradiso degli scrittori, ricordi? Sono sicuro che scoprirai come fare.” “Un bel libro, Marcus, non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì sull’effetto cumulativo di tutte le parole che le hanno precedute. All’incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopop averne letto l’ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un’emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito!”

E noi lo abbiamo letto trascinati per la collottola fino in fondo felici di averlo fatto, malgrado la lungaggine delle 775 pagine che alla fine la stanchezza si sente. Pur tuttavia riconoscenti a Joël Dicker per aver giocato con noi alle ‘scatole cinesi’ con la stessa tenacia di un artificio matematico in cui è riuscito a controllare i nostri impulsi di giocatori non sempre senzienti di arrivare a una conclusione logica, facendoci trovare una piccola sorpresa ‘gradita’ in ognuna di esse. Soprattutto perché ci ha ricordato un altro gioco non meno originale e creativo di quello svolto da Raymond Queneau in “Esercizi di stile” (1947), in cui una trama apparentemente semplice (banale) è raccontata in novantanove modi diversi, ognuno in uno specifico stile di narrazione che, alla fine, la 99esima volta risulta una storia completamente diversa, intrigante al pari di un noir/giallo/thriller che non smette mai di sorprendere e meravigliare. Consiglio di leggere la ‘prima’ e la ‘novantanovesima’ per restare sbalorditi.

Tuttavia i ‘giochi’ a cui possiamo attingere ovviamente non finiscono qui, chi non ricorda E. A. Poe massimo esponente del genere cosiddetto “enigma della camera chiusa” con il suo “I delitti della Via Morgue”; o Agatha Christie con “Dieci piccoli indiani” e “Assassinio sull’Orient Express”; e ancora i ‘misteri’ di John Dickson Carr ecc. ecc. Il romanzo “La verità sul caso Hanry Quebert” è tutt’ora un bestseller in Europa dove ha raggiunto i vertici delle classifiche e in Italia è stato in top 10 per diverse settimane. Le versioni in lingua inglese sono uscite, rispettivamente, il primo maggio 2014 nel Regno Unito a cura di MacLehose Press, e il 27 negli USA a cura di Penguin. Con questo romanzo l'autore Joël Dicker è stato insignito nel 2012 dei premi Goncourt des lycéens e Grand Prix du Roman de l'Académie française.

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